"La fine non arriva mai" è, di certo, un testo "sui generis", un "monstrum": non è un saggio, non è una pièce teatrale, non è un romanzo, non è cronaca ma è tutte queste categorie messe insieme: contiene, al suo interno, un coro, come nella tragedia greca, ma non ne ha la stessa funzione. È un lavoro che somiglia tanto alle opere di Picasso, che ci sfidano continuamente a ricostruire la realtà e a riconoscerla in mezzo ai pezzi deflagrati del suo caos. Proprio perché narra del nostro tempo: delle migrazioni, che hanno interessato, in modo massivo, e non solo il continente europeo, gli ultimi due secoli della nostra Storia; narra di guerra e di persecuzioni; narra del male e della sua facilità e, soprattutto, vuole che si conservi memoria di tutto questo, perché è solo serbandone memoria che si possono evitare gli orrori. Ne "Il male radicale", la filosofa ungherese di origini ebraiche Àgnes Heller, che ha conosciuto gli orrori del nazismo, scrive: "Come suggerisce la poesia di Paul Célan, i morti cominciano a fiorire nel calore della memoria culturale. Questa sarà ereditata dai nostri figli e dai figli dei nostri figli, che l'arricchiranno continuando a onorare il lutto.". Das Urheberrecht an bibliographischen und produktbeschreibenden Daten und an den bereitgestellten Bildern liegt bei Informazioni Editoriali, I.E. S.r.l., oder beim Herausgeber oder demjenigen, der die Genehmigung erteilt hat. Alle Rechte vorbehalten.